Per questa antologia di fiori-di-carta, questo giardino della poesia italiana dedicato ad Eftimios - oggi ho scelto la poesia di Nuria Scapin:
Il granchio, l’oro, lei.
Marmo il mare equoreo, vasto tempio dorato.
Rubescendo il granchio di sbilenco, di vedetta in difesa dell’orma sedotta dal mare. Eccesso rosso concentrato con le chele protese inzaccherate di pepita.
Mentre s’allontana il marinaio sul mare di marmo scivolando nell’oro
teso nel suo essere umano rifulgendo di sudore, penso al granchio già lambito.
Penso all’orma c’hai lasciato sacerdotessa indaffarata a preparare il temporale
calmo il mare, marmo levigato, vasta angoscia equorea.
L’antica seta delle Onde hai trascurato per addensare il temporale.
Non c’è un guizzo un’increspatura né riverbero un po’ frale solo l’ora d’oro d’un ipocrita decoro.
Morta è anche la fiaba, trascurata, le Ondine l’oro non cercano pazze d’armonia, ciascuna suicidata d’oro per la scia marmificata.
Il granchio anch’esso prende commiato
dacchè signora vaga l’hai dimenticato e l’oblio del flutto non paga e presta nulla a un invitato.
Ma la quiete non favorisce quesito né richiesta dunque taccio dentro a un tempio frasi avanti un temporale.
Le mani contratte sulla sabbia bruciata troppo sale nella gola per parlare la tua sete (poich’ogni dubbio chiami empio) ciottolerei esasperata e mentre poca resta all’orma attesa di sparire
spero mi dica cosa vale tutto questo oro e quel che vieta, sacerdotessa indaffarata, quando non posso bere la tua seta.
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Prima di tutto per il suo incipit, che intreccia il cinema moderno alla letteratura antica. (Faccio notare lo zigzagare dei piani visivi: primo piano, totale, piano a figura intera, dettaglio, campo lungo, primo piano... e la rotondità delle parole.)
In secondo luogo perché (in questa poesia tutta intera) questo connubio non è disperato, come in Non è un paese per vecchi, o manierato, come in tanta nuova poesia nata vecchia, e allude ad un mondo inestricabilmente vecchio e giovane, antico e moderno, passato e presente.
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